Nell'agosto del 2005, durante il Camino di Santiago de Compostela, con Tina si leggeva del fascino del pellegrinaggio nei luoghi francescani, a differenza del Camino, che in certe sue tappe è veramente noioso, quasi insignificante. Insomma, qualcuno (ora non ricordo chi) concludeva che se si voleva effettuare un bel trekking non si sceglieva la via che conduce a Santiago da Saint-Jean-Pied-de-Port, ma piuttosto ci si doveva recare in Patagonia, oppure, senza spingersi troppo lontano, nell'Umbria di Francesco. Sin da allora, pertanto, ci siamo ripromessi di organizzare questo pellegrinaggio e attendevamo l'occasione, com'era capitato nel lontano 2005.
Allora fummo sollecitati dal nostro 25° di nozze; quest'anno ricorre il 35° e dunque, anche in questo caso, abbiamo un buon motivo per (ri)metterci in cammino.
A differenza del Camino, stavolta non vogliamo partire da soli, ma creare un gruppo di familiari e di amici, per condividere con altri un'importante esperienza, capace di cementare relazioni, lasciando un segno significativo su tutti i partecipanti.
Il camminare, l'essere sulla strada diversi giorni per 8/10 ore al giorno, sulle spalle uno zaino con il kit di sopravvivenza (senza esagerare, naturalmente, perché non si va in un deserto... e pertanto non si sta praticando uno sport estremo!), rappresenta una sorta di metafora dell'esistenza. Come si vive, sempre e di necessità, con-altri, così si è in via mai da soli, ma sempre con coloro che ci sono vicini, ci accompagnano e, secondo il caso, ci sostengono o ci sollecitano.
Può accadere che, sottoposti a stress per la fatica, ci siano momenti di tensione, con litigi che alle volte portano alla rottura di sodalizi: ci si separa, qualcuno rinuncia e torna indietro, altri proseguono separatamente, ciascuno con il proprio passo. Ricordo il consiglio di un'appartenente alla Confraternita del Camino, all'atto di iscrizione e della consegna della credencial: "andate pure assieme, ma è importante che ciascuno durante la giornata cammini da solo, con il proprio passo, altrimenti si rischia continuamente il litigio, se non addirittura la rottura!". Era certo un buon consiglio, ma se lo avessimo seguito non avremmo potuto fare quell'esperienza forte, che ha permesso una più approfondita reciproca conoscenza e al tempo stesso il consolidamento della nostra unione.
Per concludere, mi piace ricordare quel che scrive Eduardo Galeano sull'utopia e che, a mio avviso, è in armonia con quel che Tina e io pensiamo della vita/cammino: "Lei è all'orizzonte. Mi avvicino di
due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e
l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io
cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve
proprio a questo: a camminare".
Insomma sembra concordare con l'idea forte di cammino che ci comunicò a Santiago un hospitalero, secondo il quale la meta del cammino non risiede nel santuario di Santiago (nel caso nostro, la basilica di Assisi), ma nel camminare stesso, per cui egli, giunto su una collina con alle viste ormai il santuario, scelse di tornare indietro!
Meno radicali di lui, non seguiremo, però, il suo esempio.
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